di MARCO ANDROSIGLIO
Una doppia perdita segna il soggetto bilingue: la prima quando dalla lallazione – in cui l’enunciazione si gusta in bocca come un nettare prezioso e il riso e la gioia si associano – si passa alla lingua che l’Altro parla.
Si realizza così la rinuncia al godimento per accedere al senso.
La seconda, per il soggetto bilingue adulto, nel momento in cui si iscrive nell’apprendimento di un’altra lingua.
Dunque al tempo 1, il soggetto gode ma non è compreso: è l’Altro che lo interpreta e per effetto di retroazione dice : “Tu vuoi dire questo”
Nel tempo 2, il soggetto parla ed è compreso, ma al prezzo di una perdita fondamentale: da cui la sensazione di non riuscire mai a esprimersi con esattezza, con precisione; qualcosa sfugge sempre, la Cosa è sempre mancata dalla parola.
I poeti in erba del tempo dell’infanzia e adolescenza, sono forse un tentativo di ritrovare gusto alla/nella lingua dopo che lo si è ceduto sull’altare del senso per l’Altro?
Una pista da esplorare.
Al tempo 3, una ulteriore alienazione si produce, piegando il soggetto al campo dei significanti dell’altra lingua.
Quale soggetto ne risulta da una tale nuova operazione, sapendo che il soggetto è un effetto di linguaggio, in cui il significante rappresenta il soggetto per un altro significante, come Lacan ci insegna?
O ancora, a quale luogo il soggetto bilingue appartiene? A entrambi, più a uno o più all’altro?
Esiste una patria di bilingue?