Psicologia e festività natalizie: il ritorno a casa

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Natale a casa

di CINZIA CROSALI

Una paziente spiritosa e intelligente mi ha scritto questo messaggio durante le vacanze di fine dicembre: « E come ogni anno vi ricordo che : il Natale a casa con la famiglia altro non è che l’esame di valutazione annuale della nostra psicoterapia. Vi auguro di superarlo». 

Ho sorriso per la precisione della battuta. Le feste familiari prolungate sono sempre un esercizio di pazienza e di messa alla prova della propria solidità psichica. Figli adulti che si ritrovano a condividere lo spazio domestico con genitori anziani, ciascuno in attesa che l’altro risponda ad aspettative impossibili ed anacronistiche; rivalità fraterne mai spente e esacerbate dal confronto delle reciproche riuscite e dei successi e insuccessi dei figli; cugini che a volte si conoscono poco e che portano il peso dei nodi delle due generazioni precedenti con cui devono fare i conti.  Alla superficie delle dinamiche ci sono le apparenze: gli addobbi, le luci e i balocchi sull’albero, i regali, i cenoni e i pranzi sempre eccessivi.

Durante questi pranzi, può accadere che qualche bicchiere di troppo sciolga la parola e liberi i commensali dalle loro abituali inibizioni, allora le frecciatine cominciano a colpire sotto la maschera dello scherzo, le suscettibilità si inaspriscono, i conflitti si accendono fino allo scoppio di veri e propri litigi.  Dissapori antichi si mescolano agli attuali, le competizioni di fratelli, antichi rivali nella gara di chi è più amato dai genitori, si riaccendono su pretesti legati ai regali, ai vestiti, al menù del pranzo di Natale, a idee politiche, a opinioni sociali.  La fine di questo anno 2021, è stata particolarmente difficile: in più dei soliti contrasti si è aggiunta la ginnastica e gli equilibrismi legati alla pandemia del coronavirus.  Le famiglie oltre alla eterna questione: “quest’anno il Natale si fa dai miei o dai tuoi?” hanno dovuto anche affrontare omplicate discussioni sul numero appropriato dei convitati nei pranzi di famiglia. Con chi, dove e in quanti?   In alcune famiglie gli scontri tra i vaccinati, i non vaccinati e i No-Vax, hanno spalancato voragini di odio fra parenti e amici, mentre la verifica dei test negativi e positivi ha appeso ogni programma di festività al verdetto del tampone. I disaccordi surriscaldano gli animi e aprono divari, mentre discussioni violente possono scoppiare anche nelle famiglie più insospettate.  Naturalmente questo non è accaduto in tutte le case, ma in gennaio quando ho ripreso l’attività clinica, ho spesso ascoltato in terapia racconti che svelano l’altra faccia della festa e delle luci. Spesso ho sostenuto e approvato i progetti dei pazienti di fare soggiorni piuttosto brevi e se possibili poco promiscui in seno alla famiglia di origine.  Per molti di noi italiani in Francia, che abbiamo l’abitudine del rientro in Italia alla fine dell’anno, non è facile attuare queste precauzioni soprattutto durante le feste. Bisogna davvero armarsi di pazienza e tolleranza, perché è molto più facile litigare con i familiari che con gli estranei. Già all’inizio di dicembre molti pazienti cominciano ad anticipare con inquietudine e ansia il “ritorno a casa”.  E’ interessante come l’enunciato: “tornare a casa” possa persistere anche dopo tanti di vita in Francia.

La parola “casa” in questo senso acquista un valore simbolico, è un luogo carico di nostalgia e aspettative e per questo così facilmente deludente.  Si pensa, tornando, di ritrovare il paradiso perduto, un paradiso fantasmatico e mai realmente esistito, un paradiso fatto di sogni e gratificazioni, e dove si prevede idealmente l’amore dei familiari, l’apprezzamento e il riconoscimento dei parenti. Così “tornare a casa” è a volte pensato come una compensazione delle frustrazioni o degli insuccessi vissuti durante l’anno, come se il ritorno dovesse sempre produrre il miracolo del figliol prodigo.  L’associazione APSI (psicologi italiani in Francia) di cui ho l’onore di essere presidente, sta riflettendo sul valore simbolico dei nostri “ritoni a casa”, in preparazione di un webinar[2] previsto il 24 marzo 2022.  In questo lavoro di riflessione ci siamo resi conto di come questi ritorni dalla Francia all’Italia e viceversa, non siano semplici viaggi, ma comportino una carica emozionale non indifferente. La “casa” dove si torna in Italia, non è solo un luogo geografico, uno spazio fisico, ma è un luogo psichico, affettivo, simbolico; le nostre andate e i nostri ritorni sono ginnastiche mentali complesse e faticose. Chi “torna a casa” produce proiezioni ed interpretazioni relative alle sue aspettative, a quelle che attribuisce ai familiari, a quelle che i familiari gli dimostrano.  Chi torna a casa, in un certo modo, pensa di non dover tornare sconfitto e, anche se non si tratta della stessa dinamica della vecchia emigrazione, c’è sempre l’idea che se sei partito, lo hai fatto per una riuscita (altrimenti chi te l’ha fatto fare?) e lo sguardo di valutazione dei parenti è per molti un esame angosciante.  Alla fine dell’anno, durante queste feste natalizie e di capodanno, in questo tempo di bilanci e valutazioni, l’ansia dell’esame, della valutazione, è ancora più forte. 

Gli spazi, le stanze ritrovate hanno il sapore dolce-amaro della nostalgia e del disagio.  Nella casa familiare, molti giovani adulti ritrovano la loro camera, santuario lasciato immutato dai genitori, nella quale si sentono però stretti e disorientati; oppure scoprono che i genitori hanno vuotato la stanza, portato in cantina le loro cose, adibito ad altro uso quello spazio che credevano inviolabile.  Piccoli e grandi conflitti possono nascere, proprio attorno agli spazi della casa, al loro uso, agli oggetti, persino agli elettrodomestici. Ho potuto ascoltare in gennaio, frasi cariche di disappunto, come le seguenti: “Ho regalato ai miei genitori una bellissima macchina Nespresso per il caffè, ma niente, non c’è speranza, vogliono continuare a usare la loro vecchia moka, certo per dispetto”, oppure: “ come ha potuto, mia madre, spostare le mie cose e trasformare la mia vecchia camera in un salottino”, o ancora: “la moglie di mio fratello ha preteso di modificare il nostro menù tradizionale di Natale. Ma come si permette? Chi si crede di essere?”.  E l’elenco potrebbe continuare. Quali indicatori affettivi possiamo leggere dietro l’apparente interesse per degli oggetti o per i cibi? Gli oggetti di casa, il cibo, sono carichi di significati, per alcuni essi costituiscono il legame prezioso con il passato, con le garanzie, le certezze dell’infanzia; per altri sono invece una catena da spezzare, un retaggio che li ostacola, un mondo da cui riscattarsi. Ognuno si posiziona con il suo bagaglio e la sua storia, ognuno reagisce al cambiamento o alla tradizione nel proprio modo soggettivo e a volte sintomatico. La maturità e la saggezza porterebbero a sdrammatizzare, a ridurre le cariche di tensione, di rabbia, di rivendicazione, a sorridere delle mascherate e del teatrino domestico che si rinnova ogni anno con i suoi drammi e i suoi intrighi. Facile a dirsi, ma complicato da realizzare: il conflitto, luogo dove scaricare frustrazione e aggressività, esercita spesso un’attrazione irrinunciabile sugli umani.  Le ferite antiche si riaprono e i risentimenti cercano soddisfazione in duelli senza vincitori.   Così il ritorno a casa a Natale è davvero una cartina al tornasole, un momento di verifica della nostra salute psichica. A tutti, e non solo a coloro che sono in terapia o in analisi, ma proprio a tutti noi, auguro di cuore di aver superato questo esame annuale così temuto e desiderato nello stesso tempo.

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