di MARCO ANDROSIGLIO
Vorrei parlare dei pazienti che non ricevo nel mio studio a Parigi
Nessuno, tra i miei pazienti, che sono per la maggior parte italiani, di una fascia di età compresa tra i 25 e i 50 anni, di differente estrazione sociale e culturale, uomini e donne rappresentati in egual misura, è Novax.
Perché?
La risposta a questa domanda è consustanziale alla fondazione dell’APSI.
Grazie all’impulso della console Gatto e alla determinazione delle fondatrici originarie della nostra associazione, Crosali, Arrivabene e Di Palma, il progetto di unire le forze per poter creare un luogo in cui le domande, le interrogazioni, i sintomi e le sofferenze dei nostri connazionali che vivono e lavorano in Francia potessero trovare una risposta, ha permesso la fondazione dell’Associazione degli Psicologi italiani.
Qualche mese dopo la creazione dell’APSI, su base volontaria, alcuni membri hanno accolto gratuitamente pazienti italiani in difficoltà psichica a causa delle conseguenze della pandemia: crisi di angoscia, fobia sociale e altri sintomi spingevano questi soggetti a cercare aiuto presso dei professionisti.
Nel corso dei mesi, una nuova atmosfera ha cominciato a permeare la città: la paura e l’incomprensione, gli applausi dai balconi, la comunanza hanno lasciato lentamente il posto alla sofferenza, alla rabbia e alla protesta.
Quanti tra coloro che avevano consultato in un primo momento sono poi diventati Novax? E quanti fra i contrari alla vaccinazione hanno bussato alla porta dei nostri studi? Posso affermare con ragionevole sicurezza, molto pochi. E tra i pochi, ancora meno coloro che lo fanno per interrogare la loro certezza.
Cercherò di mostrarne le ragioni.
Come psicologi, possiamo dare una lettura clinica senza lasciare il campo sociologia.
In quanto allievi di Freud, fondatore di tutte le cosiddette talking cure, seguiamo le sue tracce quando ci indica che la psicologia individuale è sempre una psicologia collettiva.
Lo psicoanalista austriaco afferma che nella vita psichica del singolo l’altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico: può basculare rapidamente da uno statuto all’altro.
La psicologia individuale è anche, fin dall’inizio, psicologia sociale.
Ebbene questo basculamento risulta evidente quando dagli applausi ai balconi siamo passati agli slogan contro la tirannia sanitaria.
La pandemia Covid-19 può essere intesa come un ritorno al passato, laddove con esso intendo un mondo in cui l’imprevedibile, l’incomprensibile e l’invisibile sono predominanti. E assunti in quanto tali.
Dopo quasi un secolo di crescente fiducia nel progresso, abbiamo assistito all’ammissione di impotenza della scienza a fronte di un nemico terribile e implacabile.
Questa vuoto, questo beanza ha fatto trauma e l’adesione, piena di fiducia al sapere tecnico, si è trasformata in un rancoroso risentimento.
La fiducia era stata tradita: i termini “fiducia”, “adesione” e “tradimento” non sono stati scelti a caso.
La scienza, anche nella sua versione moderna, quelle basate sulle cosiddette evidenze scientifiche, sebbene sia teoricamente avvicinabile da tutti, è fondamentalmente inaccessibile. Quanti tra di noi sono in grado di leggere, comprendere e eventualmente confutare un articolo scientifico?
Da cui la transizione attraverso gli “organi deputati alla trasmissione del sapere”.
Umberto Eco ha dedicato pagine densissime nei suoi saggi e altre altrettanto potenti nei suoi romanzi alla funzione del sapere e della credenza. Dalla biblioteca che contiene un libro dal sapere proibito talmente dirompente del “Nome della rosa”[1] che può condurre all’omicidio, al complotto esoterico-occultista del Pendolo di Foucault[2] l’autore traccia per noi una traiettoria chiara.
Cosa dire allora in quanto psicologi a chi cerca di andare al di là dell’angoscia nella quale è precipitato a causa di questo vacanza di sapere e che ha trovato una soluzione nell’adesione a tesi diffuse soprattutto grazie ai social media ?
Veltroni scrive sul Corriere del 21 agosto 2021 “Se possiamo, a chi soffre o a chi non ha capito, offriamo la mano o il calore di una parola giusta. Per lo sberleffo e il pollice verso ora non c’è più tempo. Siamo come non mai sulla stessa barca, siamo interdipendenti, legati da un destino di comunità. Siamo fratelli e sorelle, anche se non vogliamo. Dalla vita a una dimensione usciremo solo tutti insieme. Tutti, ovunque ».
Cogliamo il riferimento alla tesi di Marcuse espresso nel suo testo omonimo del 1964[3].
Il pessimismo di Marcuse è bilanciato dallo slancio veltroniano e ci permette di riflettere forse meglio sulle le pagine che Lacan ci lasciò nel 1974 in “Il trionfo della religione” testo letto dallo psicoanalista francese a Roma in cui si interroga sull’angoscia degli scienziati.
Scrive Lacan:
“E’ solo recentemente che gli scienziati cominciano a fare delle crisi di angoscia.[…]In questi ultimi tempi alcuni tra gli scienziati che lavorano in laboratori assolutamente rigorosi che cominciano ad allarmarsi […] “Tutti questi batteri con i quali facciamo cose così’ meravigliose, supponete che un giorno dopo che ne abbiamo fatto uno strumento sublime di distruzione della vita, un tipo li faccia uscire dal laboratorio”.
E allora si sono sentiti tutt’a un tratto presi da una crisi di responsabilità[4].
Tale “crisi di responsabilità” si è trasformata in un attivismo mediatico spesso eccessivo e in una ipertrofica presenza nei dibattiti pubblici, che ha provocato un certo malcontento e sfiducia laddove urgeva invece una bussola chiara da seguire.
All’estremo opposto, più di un medico tra quelli che hanno vissuto tali interrogativi nati dal vacillamento all’assunto scientista, hanno domandato una psicoanalisi.
Aderire dunque alla tesi Veltroniana di tendere loro la mano?
Soprattutto, ed è la questione che tocca più da vicino la responsabilità etica della categoria degli “psi”, come incontrare chi si tiene lontano dagli studi psicologici pur portando le stigma dell’angoscia?
Come avvicinare la loro certezza inscalfibile, che fagocita ogni tentativo di confutazione?
In questo caso, l’esperienza clinica coi disturbi alimentari e le tossicomanie ci viene in aiuto: tali patologie fanno della soluzione all’angoscia tramite un sintomo sociale il loro marchio di fabbrica.
Tali soggetti negano il fatto stesso di soffrirne, refutano che il controllo dell’alimentazione, che la privazione di cibo o l’aumento di peso o l’assunzione di troppo alcol o sia vera. E’ l’altro che si angoscia, è la moglie, il marito, il padre, la madre che si preoccupano, che vegliano, che corrono a cercare delle soluzioni. Il soggetto è saldo nella sua posizione.
Come parlare allora a chi mettendo a repentaglio la propria esistenza non mostra alcuna considerazione per l’angoscia profonda che suscita nell’altro?
Ricevendo pazienti affetti da tali patologie da quasi 25 anni sia in istituzione che in liberale posso riferire cosa mi hanno insegnato.
Ebbene la sola risposta possibile, è essere all’appuntamento. Con cosa? Con l’angoscia quando si riaffaccia nel soggetto, quando è di nuovo presente e non più espulsa al di fuori. Un’angoscia di ritorno che rende la soluzione sintomatica una posizione non più sostenibile.
Lo vediamo quando i più accesi sostenitori delle tesi più dure antivax si ammalano, o qualcuno del loro entourage ne è colpito: d’un tratto, tutta la virulenza mostrata in precedenza diventa fervore nel campo opposto, arrivando a scagliarsi contro la lentezza del sistema di vaccinazioni.
Quando la scienza è al suo zenith, scrive Lacan, è la religione che trionfa.
Affermazione sorprendente, ma non troppo se pensiamo che in entrambi i casi si scommette che il mondo, tutto ciò che ci circonda, non è governato dal caso: per la scienza, da leggi naturali e per la religione, da un disegno divino.
Ma a fronte di un ordine scientifico neutro e senza “anima”, la religione offre amore, armonia e un fine.
Sta a noi offrire, laddove possibile, un’altra risposta, un altro a cui indirizzarsi da cui più che una risposta, possa sorgere un posto in cui un soggetto possa sostenersi.
Marco ANDROSIGLIO
Note
[1] Eco U, Il nome della rosa, Bompiani 1980
[2] Eco, U. Il pendolo di Foucault , Bompiani 1988
[3] Marcuse H., L’uomo a una dimensione, Einaudi 1967
[4] Lacan J. Il trionfo della religione, Einaudi 2006