di COSIMA LANZILOTTI
Qualche tempo fa, inciampai per caso nel racconto di Ernesto de Martino “Il Campanile di Marcellinara”[1]. L’antropologo racconta di quando lui e i suoi amici, percorrendo insieme qualche solitaria strada della Calabria, incapparono in un vecchio pastore al quale chiesero informazioni circa la strada da percorrere per raggiungere la loro meta. L’incontro con quel pastore recò sollievo all’antropologo e ai suoi compagni che non sapevano bene dove fossero finiti e come dovessero arrivare al punto di destinazione. La comitiva decise di proporre al vecchio pastore di accompagnarla fino al bivio d’interesse concordando con lui di riportarlo poi nel punto in cui si erano incontrati.
“Salì in auto con qualche diffidenza, come se temesse una insidia, e la sua diffidenza si andò via via tramutando in angoscia, perché ora, dal finestrino cui sempre guardava, aveva perduto la vista del campanile di Marcellinara, punto di riferimento del suo estremamente circoscritto spazio domestico. Per quel campanile scomparso, il povero vecchio si sentiva completamente spaesato: e solo a fatica potemmo condurlo sino al bivio giusto e ottenere quel che ci occorreva sapere. Lo riportammo poi indietro in fretta, secondo l’accordo: e sempre stava con la testa fuori del finestrino, scrutando l’orizzonte, per veder riapparire il campanile di Marcellinara: finché quando finalmente lo vide, il suo volto si distese e il suo vecchio cuore si andò pacificando, come per la riconquista di una “patria perduta”.
Qualche tempo dopo quando l’Associazione Psicologi Italiani in Francia (APSI), di cui sono membro, comunicò tra le possibilità di webinar quello su “La Casa: luogo fisico, luogo psichico?” questo racconto riemerse alla coscienza come un’epifanìa. Da una prima lettura, ci si rende subito conto che l’incontro descritto è molto di più che un semplice aneddoto.
In poche righe sembra quasi di sentire nella propria carne tutto il pathos legato alla diffidenza iniziale del pastore nei riguardi degli sconosciuti, alla fiducia accordata e subito minacciata dalla sparizione del Campanile dal proprio orizzonte visivo, alla pace ritrovata con il momento di ricongiungimento al Campanile. Si direbbe quasi una sorta di curiosa Strange Situation[2].
Ma cosa avrà rappresentato quel Campanile nella mente e nel corpo di quel vecchio pastore?
La prima risposta che mi è venuta in mente è stata proprio quella che coincide con il titolo di questo webinar. Rappresenta “casa”. Casa come luogo fisico e psichico.
Rispondere a questa domanda ha dunque dato il La ad alcune riflessioni del tutto personali che scagionano il vecchio pastore da qualsiasi interpretazione o analisi del suo sentire.
Se partiamo dall’etimologia del termine “casa”, leggiamo dalla Treccani: Casa: una costruzione eretta dall’uomo per propria abitazione; più propriam., il complesso di ambienti, costruiti in muratura, legno, pannelli prefabbricati o altro materiale, e riuniti in un organismo architettonico rispondente alle esigenze particolari dei suoi abitatori.
Partendo da questo primo significato che fa riferimento a delle caratteristiche fisiche e strutturali del termine, il secondo significato che possiamo rintracciare è quello di casa come luogo psichico.
Casa è dove si trova il cuore, recitava un antico aforisma di Gaio Plinio Cecilio Secondo.
Per “cuore” si intendono certamente gli affetti, i ricordi, i vissuti, le emozioni, tutte cose di sostanza apparentemente meno concreta se pensiamo al cemento dei muri delle camere o al legno del parquet della cucina. Eppure, anche se non esistenti nel momento presente, possiamo essere capaci di rievocare con sorprendente nitidezza l’odore del caffè pomeridiano preparato dalla nonna anni e anni prima.
E insieme a quell’odore, anche il momento di scambio e convivialità ricreatosi attorno a quelle tazzine fumanti.
Maestro indiscutibile di quella che possiamo definire essere una vera e propria psicofisiologia del ricordo è Marcel Proust. Alcuni ricorderanno la sua riscoperta serendipica di un momento felice attraverso la degustazione di una madeleine. Proust, incuriosito e allo stesso tempo desideroso di riprodurre lo stesso effetto, continuerà ad addentare la madeleine, ma capirà presto che la verità che cerco non è lì dentro, ma in me[3].
In quest’ottica sembra una missione difficile scindere davvero cosa è casa come luogo fisico o cosa è casa come luogo psichico. Sarebbe forse più appropriato parlare di significante e significato. Interssante è notare quanto la fisicità/materialità del significante (il campanile del racconto), si allinei con la fisicità del significato (angoscia/volto disteso/cuore pacificato del vecchio pastore). La fisicità del significato infatti si incarna nelle viscere, nei muscoli e nell’organismo fino a stimolare delle vere e proprie risposte fisiologiche.
Il campanile di Marcellinara pare quasi ergersi come una delle colonne d’Ercole al di là delle quali regna l’Ignoto. La perdita di ciò che è familiare, conosciuto
e prevedibile, non può che essere preludio di insidie e pericoli.
Quei luoghi fisici e psichici sono il fondamento su cui il senso di identità e di appartenenza si sono costituiti.
Possiamo anche immaginare scenari diversi. Ci potrebbe essere chi dando un significato molto diverso al campanile, lo vive come una torre di guardia che sente necessario valicare, chi ancora sceglie di oltrepassarlo perché curioso di scoprire cosa c’è al di là, chi una volta oltrepassato, lo rimpiange e ne sente la nostalgia. Chi ha paura di oltrepassarlo per timore di perdere il supporto della sua comunità, chi vuole farlo per dimostrare il suo coraggio.
Sebbene il significante resti lo stesso, il significato cambia a seconda della persona che lo guarda. E non solo, il significato assumerà nuove forme secondo la stessa persona in momenti di vita o di osservazione diversi.
Il concetto di casa, quindi, custodisce dentro sé tutte le trame narrative con le quali ci siamo costruiti e con le quali stiamo in relazione con l’altro.
Non è raro ascoltare testimonianze di persone residenti all’estero che dicono di stare bene, ma di non sentirsi a casa. Di persone che aspettano ansiose il pacco da giù perché sembra mi catapulti a casa.
O ancora, persone che dicono di sentirsi meglio accolti in Italia. Un mio paziente una volta mi disse che l’Italia mi sta bene quando voglio essere coccolato, riconosciuto, visto, anche se poi mi stanco, e che qui a Parigi amo camminare nell’anonimato, indipendente e libero. Non saprei scegliere se vivere in Italia o qui a Parigi.
Non sempre è facile mettere insieme tutte queste istanze, trovando un accordo tra tutte.
Riuscire a riconoscere, ascoltare e validare l’esistenza di tutte queste parti è uno degli strumenti che la psicoterapia mette a disposizione. Riuscire a intercettare la parte di noi che vuole tornare a casa perché si sente vista e la parte di noi che vuole ripartire perché si sente invasa è il primo passo verso l’ascolto e la validazione di queste istanze. Più spazio si riesce a fare dentro di noi, più riusciremo ad accogliere tutte le parti, anche quelle inadeguate e giudicanti. Ma come, non vuoi tornare a casa?! Dopo tutto quello che hanno fatto per te?! Sei proprio un ingrat*!
Un alleato in questo lavoro è senz’altro il corpo che, come abbiamo visto, è veicolo di conoscenza di noi stessi e espressione incarnata dei nostri significati. Le pratiche di meditazione sono sempre più utilizzate per aiutare la persona nel compito dell’auto-osservazione e della consapevolezza[4].
A conclusione di questo saggio, ci viene da pensare che la casa, probabilmente, è un luogo psicofisico!
In fondo, sembra che di case possano esisterne una, nessuna e centomila, tante quante le istanze che albergano dentro di noi[5]. Tanti quanti sono i significati con i quali ci muoviamo nel mondo.
Illustrazioni a cura di Beatrice Gaspari.
[1] De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, C. Gallini (a cura di), Einaudi, 2002.
[2] Ainsworth, M. D. S., & Wittig, B. A. (1969). Attachment and exploratory behavior of one-year-olds in a strange situation. In B. M. Foss (Ed.), Determinants of infant behavior (Vol. 4, pp. 111-136). London: Methuen.
[3] Proust, M. (2015). Du côté de chez Swann. Flammarion.
[4] Giommi, F., & Barbieri, S. (2016). Consapevolezza intuitiva: il cuore della trasformazione terapeutica.
[5] Pirandello, Uno nessuno centomila, G. Mazzacurati (a cura di), Einaudi, 2014.