di EMANUELA SURACE
( Ania ) – La casa in cui noi viviamo non é più la nostra casa da ormai molto tempo, e io partiró, ve lo giuro.
(Trofimov) – Se lei possiede le chiavi della proprietà, le getti nel pozzo, e parta lontano. Sia libera come l’aria.
( Anton Cechov, Il Giardino dei Ciliegi )
Che cosa rappresenta per noi tutti la casa natale e che cosa intendiamo con questa formula che traduce il piu originario dei quesiti : da dove vengo ? da quale desiderio sono nato ?
Cosa può dirci la psicoanalisi di questa nozione dinamica a cui spesso si mescola il tragico senso della perdita, dell’irreversibile, del trauma, dell’invivibile ma anche dell’indimeticabile, del souvenir d’enfance ? Pensare la casa natale é pensare l’infanzia : ce temps qui ne passe pas e che per questo rivive nei nostri sogni e in quelli dei nostri pazienti come luogo prediletto dell’inconscio.
Luogo dei primi passi, il suo destino, pur nel rischio dell’idealizzazione, é di essere uno spazio onirico. « Une maison n’est pas un corps de logis mais un corps de songe » afferma Gaston Bachelard. La casa deve dunque permettere il sogno, cosi come deve proteggere e accogliere i suoi abitanti.
Paradigma dello spazio transizionale, essa é uno spazio potenziale tra interno e esterno, un luogo psichico eminente perché luogo essenziale degli scambi tra il bambino e la madre. Il fantasma di perinnità e solidità che la caratterizza contrasta l’angoscia di sparizione dell’oggetto materno. La questione del luogo é dunque centrale perché nella sua forte concretezza permette di fondare la continuità dell’immagine del corpo e del materno.
Ascoltare la descrizione di una casa in analisi equivale allora all’ascolto del racconto di un sogno. In questo ascolto, quasi come un ritorno, la possibilità di interrogare l’enigma della relazione all’altro e la natura stessa del legame familiare, modello originario per ognuno di noi di altri liens a venire.
« I muri parlano » dice con ironia lo psicanalista Alberto Eiguer a cui si deve L’incoscient de la maison, un testo fondamentale per il nostro tema. E come su pareti primitive, immagini e rappresentazioni fantasmatiche emergono per raccontare una storia allo stesso tempo soggettiva e gruppale : la storia di una famiglia. Visto che la casa natale é sovente sinonimo di famiglia e permette una funzione di continuità identitaria già da un punto vista nominativo. « La maison est le reflet de ce que nous sommes, en termes d’individus non pas isolés mais groupés dans un ensemble formé de ses habitants. S’agit-il d’un modèle de fonctionnement où l’humain reproduit ce qu’il vit à l’intérieur de lui-même en conjuguant la représentation de son corps et celle de la famille ».
C’è spesso a sostegno della nascitA di una casa, un fantasma di resistenza alla disunificazione e alla dispersione.
« Tutti sanno che la propria madre é mortale, nessuno sa che la propria casa é mortale » afferma Gunther Anders. Qualcosa si deve perpetuare, inscrivere nel tempo, trasmettere, se fosse possibile anche al-dilà della robustezza delle mura, al-dilà del perimetro reale dello spazio domestico. Ma l’unità della famiglia e il suo progetto fondante su cui si basa il fantasma della costruzione identitaria dell’individuo e del corpo famiglia, può dirsi sempre limitato al corpo materiale della casa ? Cosa fa « casa » ? L’aspirazione all’immutabile, alla fissità, può rappresentare un rischio psichico ? E cosa resta della casa natale quando pure essa é persa per sempre o lontana ?
Al-dilà delle vicissitudini del reale, la casa natale per sua propria natura multipla e transizionale sembrerebbe destinata a essere persa e ritrovata. Come ci insegna l’adolescenza per cui le conseguenze psichiche della separazione dalla casa madre sono fondamentali, nel processo che permette la rinegoziazione con gli oggetti oedipidiani e la possibilità della nascita di uno spazio desiderante.
« Qui mi sento un po come fossi in Italia. Soprattutto posso parlare in italiano » mi hanno spesso detto alcuni pazienti italiani facendo riferimento allo spazio del mio studio e alla scelta di una terapeuta italiana à Parigi. Si può allora ipotizzare che lo spazio del transfert, luogo per eccellenza de l’inquiétante étrangeté, possa “avere luogo” dunque esistere ed essere investito, proprio perché c’é stata rappresentazione al livello inconscio della casa familiare, anche se in negativo. Con la conseguenza che partendo da questo spazio originario si possano creare altri luoghi e permettere la relazione tra luoghi diversi. In un movimento creativo che consenta les retrouvailles con lo spazio simbolico e immaginario del familiare. Ma attraverso un tramite d’eccezione nel nostro caso : la lingua madre.
La casa natale é il luogo della lingua madre. Si può perdere in tanti modi la casa natale ma si puo perdere una lingua madre, questo tenant-lieu atopico e trasferibile delle nostre origini, luogo primario de l’infans ? Il primo esilio é nella lingua, quando -come ci ricorda Lacan – in questa distanza simbolica e nostalgica, si può rinunciare alla cosa materna per dare spazio al desiderio e creare cosi un nuovo luogo soggettivo.
Il processo analitico, ci permette di visitare e rivisitare questi luoghi originari che da bambini abbiamo giurato di abitare per sempre. « L’inconscient de la maison vit sur l’effet de la trasformation » per questo le appassionate associazioni che ne derivano non possono che sorprenderci.