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L’analisi è bilingue

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J.H.Castelnau AUBADA (bilingue) - Seta 1886

di MELISSA DI CARLO

Con bilinguismo si intende la capacità che ha un individuo di usare alternativamente e senza difficoltà due lingue o due varietà di una lingua (per esempio, la lingua letteraria e il dialetto). Se trasferiamo la definizione classica di bilinguismo a quello che accade durante una psicoterapia o una psicoanalisi, bisogna valutare questo termine sotto un altro punto di vista. 

Aldilà della possibilità di padroneggiare due lingue diverse, in analisi siamo portati a utilizzare la lingua sotto varie forme, ad adattarla e plasmarla in funzione del nostro vissuto. Questo finisce per renderci tutti un po’ bilingui.

Nel lavoro della talking cure, della cura attraverso la parola, parliamo e siamo parlati al tempo stesso. Questa differenza di posizione di fronte al proprio dire, la prima attiva e la seconda – apparentemente – passiva, conduce l’individuo a sorprendersi nell’ascoltare parole che provengono dalla propria bocca e che, nel lavoro analitico, possono essere tradotte diversamente e assumere un significato che non era possibile fino a quel momento.

In questo senso, potremmo identificare questo meccanismo come una sorta di bilinguismo: il soggetto si trova a fare i conti con la lingua che parla e con quella da cui è parlato, a passare da una forma all’altra del proprio discorso senza nemmeno rendersene conto. 

Potremmo dunque dire che in psicoterapia, come in psicoanalisi, ci si confronta sempre con diverse forme di bilinguismo.

C’è però una particolarità che contraddistingue il bilinguismo in terapia rispetto all’accezione con la quale la usiamo negli altri ambiti della vita: in analisi, parlare due lingue non indica e né ha come scopo quello di padroneggiare le lingue con eccellenza e maestria.

Anzi, l’obiettivo è proprio quello di non moderarle, di non sforzarsi a padroneggiare il loro uso al fine di far emergere tutti gli inciampi del linguaggio. Questa capacità di lasciarsi parlare permette di far sorgere l’equivoco, di giocare con i diversi significati delle parole, di approfondire quello che si nasconde tra le righe del proprio discorso.

Sono proprio questi intoppi del linguaggio che permettono di accedere ai frammenti del proprio inconscio. 

Potremmo dunque concludere affermando che la psicoterapia, come la psicoanalisi, possono essere intese come una metafora dell’apprendimento di una lingua straniera: nel susseguirsi dell’analisi ci si avvicina sempre più a parlare una nuova lingua, che è quella del proprio inconscio.

Ed è proprio l’accesso a questa nuova lingua che permette di dare un altro senso, meno enigmatico, ai sintomi di cui si soffre.

Questo accesso al discorso inconscio ci permette inoltre di fare i conti con un elemento fondamentale dell’essere umano: non si è mai padroni a casa propria.

In qualche modo, siamo e resteremo sempre estranei a se stessi e al proprio linguaggio. 

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