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Pluralità linguistiche ed Epistemologia

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di DANIELA SANTAMBROGIO

La Teoria dei tipi logici di Russel ci ricorda che la parola non è l’oggetto al quale si riferisce, detto in termini sistemici « la mappa non é il territorio » (Bateson).

In terapia, uscire da questo paradosso (antinomia), permette di aprirsi ad altri punti di vista, ad altre letture, trovando una narrazione differente che permetta altri modi di funzionamento.

La parola, con tutta la sua potenza d’azione e di rischio insito nel confonderla con una realtà univoca e chiusa, crea mondi e ne distrugge altri.

Passare da una lingua all’altra in un contesto bilingue obbliga ad uscire dal pregiudizio dell’esistenza di un unico significato, dalle proprie idee perfette (Cecchin) che appunto sono costruite attorno ad una logica lineare chiusa che identifica la parola con qualcosa di statico ed immutabile.

Giocare con i significati ed evocarne la pluralità in una stessa parola, in un dato contesto, permette in terapia di creare delle aperture finalizzate a rendere la visione del mondo del cliente (o paziente) più plastica e di conseguenza modificabile.

Nella relazione terapeutica dunque si ricorre ad una sorta di plurilinguismo laddove la parola è esposta ad una visione prismatica per evocarne i possibili mondi rappresentati.

Quando il terapeuta ed il cliente sono bilingue, la quantità di «mondi possibili» evocati è elevata alla potenza.

Tempo fa, ho ricevuto presso il centro per le dipendenze dove esercito un cliente di origine italiana che aveva espressamente richiesto un appuntamento con la sottoscritta per poter effettuare il percorso terapeutico in lingua madre.

Al nostro primo incontro, quindi, lo ricevo parlandogli in italiano e specificando di conoscere la sua richiesta.

Con mia sorpresa (ma non troppa), mi sento rispondere che ..”in realtà non so nemmeno io se preferisco parlare in francese o in italiano..”

Nell’immediato emerge il bisogno di poter alternare le lingue a seconda della distanza necessaria per affrontare i diversi argomenti.

Abbiamo cominciato a lavorare in francese, a volte il cliente non trova le parole, ne’ in francese, ne’ in italiano; a volte c’é un unico modo di dirsi una parola (a volte in francese, a volte in italiano).

Di sicuro poter meglio maneggiare la distanza dalle implicature culturali usando la parola in una lingua piuttosto che in un’altra, permette di essere più fluidi nella delicata alternanza della “danza terapeutica” (Boscolo) e di fare meno passi falsi credendo di capirsi laddove si danno per scontate altre realtà. 

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