Strategia e tattica di cura nel tempo della pandemia

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di MARCO ANDROSIGLIO

La pratica in istituzione e la pratica in liberale esigono un posizionamento e delle risposte da parte degli operatori socio-sanitari specifiche.

Proverò a darne conto articolando le decisioni prese secondo le implicazioni stategiche e tattiche elaborate in équipe.

In istituzione:

  • 1/ a livello tattico: in marzo l’équipe ha deciso, in accordo con l’ARS e alcuni altri colleghi che lavorano in altre istituzioni dell’Ile-de-France, di fermare temporaneamente l’accoglienza, invitando i quindici pazienti a trovare una sistemazione autonoma altrove. La presa in carico è proseguita dunque a distanza con chiamate telefoniche regolari della parte degli psicologi, degli educatori, del medico e degli assistenti sociali. Anche le riunioni d’equipe furono fatte virtualmente. La questione del “chi chiama chi” ha provocato non poche apprensioni, di fatto non avendo telefoni di servizio e dovendo fare affidamento solamente su i cellulari personali. La questione che si poneva era allora di comunicare oppure no i nostri numeri, dunque, come modulare la nostra presenza. Qui ognuno ha risposto differentemente: c’era chi, segnato dalla colpevolezza d’aver “abbandonato” i pazienti a loro stessi si diceva “voler essere disponibile giorno e notte” e chi cercava testimonianze delle permanenza di un transfert attendendo le chiamate dei pazienti. Si è scelto di chiamare i pazienti con i numeri “nascosti”.
  • 2/ a livello strategico: come garantire che l’istituzione continuasse a essere un luogo che fosse fulcro di una domanda di cura ? La funzione è stata mantenuta grazie alle riunioni d’equipe che hanno permesso la doppia operazione di continuare a riflettere ed elaborare ipotesi circa le conduzioni delle cure e, allo stesso tempo, permettere a ciascuno di trasmettere, privandosene, del poco di sapere che si era depositato durante gli scambi telefonici.

In liberale:

  • 1/ a livello tattico: come già accennato, il primo confinamento, con la privazione della libertà, ha portato la maggior parte dei miei pazienti a condividere piccoli spazi di vita con il proprio compagno/a o la famiglia in generale. La mancanza di intimità necessaria anche al semplice scambio telefonico ha prodotto come effetto, frequenti scambi epistolari.
  • 2/ a livello strategico: come poter garantire, nonostante la condizione in absentia, la posizione di psicologo? Ho cercato di modulare, parlo dopo i mesi di confinamento stretto, la mia presenza secondo le necessità transferenziali usando tutto le possibilità disponibili: alternando lo sguardo con Skype, alla voce del telefono, dallo scritto lungo e articolato della mail, al lampo del SMS. Cercando di essere docile col soggetto e intrattabile con l’altro, in questo caso Reale.

Intrattabile non nel senso di sollecitare timide ribellioni alle regole imposte dal governo o fomentare interpretazioni complottistiche/paranoicizzate volte comunque a umanizzare il fuori senso della pandemia, quanto piuttosto a cercare di essere partner del soggetto contro un Reale che non può e non deve impedire al soggetto di essere al lavoro, un lavoro terapeutico.

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