In che lingua  sogni? 

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Cinzia Crosali

di CINZIA CROSALI

Testo presentato nel corso del Convegno “Storie di bilinguismo” del 15 aprile 2023 organizzato da APSI, presso la Maison de l’Italie di Parigi.  

Il tema del bilinguismo interessa da vicino gli psicologi, gli psicoterapeuti e gli psicoanalisti, poiché la parola e il linguaggio sono al centro della loro pratica clinica.  Gli psicoanalisti sanno che il soggetto è sempre bilingue perché anche quando parla una sola lingua, ha sempre a che fare con almeno due lingue: quella che normalmente parlata e quella dell’inconscio. 

L’inconscio è un grande traduttore, l’inconscio traduce e interpreta. Così le formazioni dell’inconscio sono le traduzioni del desiderio del soggetto: il sogno, il lapsus, il motto di spirito, il sintomo, sono delle traduzioni e in parte delle interpretazioni del desiderio, e spesso di un desiderio insoddisfatto, inaccessibile, frustrato o censurato.  

Gli psicoanalisti sono sensibili alle parole, ai significanti, alle tracce che quest’ultimi lasciano, non solo nella mente o “nell’animo” di un paziente, ma soprattutto sul suo corpo, nella carne, nei suoi organi. Così Freud scopriva che le parole dette, e anche le parole non dette, ma attese e desiderate, le parole ingoiate, lanciate o sussurrate, possono ferire, accarezzare la pelle, imbrigliare un arto in una paralisi, isterica certo, ma non per questo meno invalidante, possono anche chiudere le orecchie in una sordità o rendere ciechi occhi “sani”, o chiudere le labbra in un mutismo ostinato.  La potenza delle parole! La materialità dei significanti, che Jacques Lacan chiamava con un neologismo la “motérialité”.  

Che accade quando le lingue si mescolano, quando l’analista e il paziente vivono in un paese che è straniero ad entrambi o ad uno dei due?  All’inizio della mia pratica in Francia pensavo di ricevere solo pazienti italiani, perché ciascuno fosse a proprio agio nella lingua, ma sono stati proprio i pazienti a ricordarmi che l’analisi non ha lo scopo di far stare a proprio agio, ma che serve piuttosto a disturbare le difese e le ripetizioni sintomatiche.

I pazienti mi hanno insegnato che in un paese straniero il rapporto alla lingua detta “madre” come quello all’“altra” lingua è sempre singolare e sorprendente. Così alcuni analizzanti italiani a Parigi, stupiscono l’analista italiana perché è con lei che vogliono fare un’analisi … in francese! Non è una scelta indifferente, essa sovverte i luoghi comuni ed è già, in sé, un elemento che apre all’elaborazione e all’interpretazione.  

E infine ci sono sedute dove le due lingue si mescolano, si intrecciano, si alternano o si fondono in neologismi sempre molto interessanti.  La prima riflessione sul bilinguismo “in terapia” è che esso intensifica la creazione e l’invenzione, e questo proprio nelle produzioni dell’inconscio, un inconscio che, come ci insegna Lacan, è strutturato come un linguaggio. 

Infatti il soggetto bilingue è direttamente confrontato ai controsensi, ai falsi-amici, ai malintesi, un aspetto che si acuisce nel lavoro onirico, nella lingua dei sogni. 

Sappiamo che i sogni sono la via regia per l’inconscio, i sogni raccontati in analisi, con le loro forme bizzarre e incongrue, i sogni che noi analisti accogliamo come altrettanti rebus da decifrare, sono la porta aperta dell’interpretazione. Ma in che lingua sogna il sognatore bilingue o plurilingue? In che lingua sognano gli italiani che vivono in Francia? Normalmente nei sogni si ritrovano le varietà dell’uso delle lingue presenti nelle comunicazioni diurne.

Molti espatriati testimoniano che quando sognano nella lingua per loro ancora piuttosto “straniera”, nel sogno sono verbalmente molto più fluenti e disinvolti che nella realtà, cosa che confermerebbe la teoria freudiana del sogno come realizzazione di desideri insoddisfatti.  Le varianti sono poi incalcolabili se si considerano i sognatori realmente bilingue, i poliglotti, gli espatriati da poco tempo, gli emigrati da decenni, e infine, elemento prioritario, la situazione emotiva, il contenuto, la temporalità e gli interlocutori del sogno.

Non credo però che sia questo l’aspetto più interessante, quello che invece mi ha da sempre colpito sono le transizioni da una lingua all’altra produttrici di equivoco, di doppio senso e di sorprese semantiche e fonetiche che avvengono nel sogno e nella sua elaborazione in seduta. Le parole di una lingua si mescolano e si sovrappongono con quelle di un’altra, i fonemi si accavallano e il sogno può anche creare delle parole nuove seguendo la sintassi o la grammatica di una delle lingue parlate, sul filo del godimento e delle associazioni che la materialità sonora produce.  

Infatti nel sogno, e soprattutto nel racconto del sogno, la materialità della lingua affiora con tutta la sua potenza creatrice.

Così una ragazza bilingue mi racconta in francese la scena di un sogno che si apre su una festa di compleanno. Una bambina soffia sulle candeline della torta, ma non riesce a spegnerle, sensazione di angoscia, ci sono gli invitati e c’è la madre che la incita, che insiste e che la sgrida.

Ma il fiato non esce e le candeline non si spengono. La paziente dice che quella bambina è lei stessa e che nella scena, sotto gli occhi di tutti, si sente umiliata e vorrebbe che la madre la smettesse con le sue candeline “ qu’elle arrete avec ses bougies!”.

Ma la paziente è di origine italiana e non le sfugge l’equivoco linguistico quando le ripeto la frase “qu’elle arrete avec ses bougies”.  Lo slittamento fonetico e semantico immediatamente colto, la fa ridere e esclama questa volta in italiano: “ma certo, volevo che la smettesse con le sue bugie”.

A partire dal racconto di quel sogno parlerà delle bugie, delle menzogne ripetute di sua madre, soprattutto attorno al padre assente e sconosciuto, bugie che avevano prodotto insicurezze e sintomi vari in questa ragazza in cerca di risposte sulla sua origine. 

Non basta che ci sia un sogno, bisogna che il sogno sia raccontato e che ci sia qualcuno che possa ascoltarlo e proporne un’interpretazione. Qui, nella vignetta clinica,  l’interpretazione è nella sottolineatura di un significante che non solo si apre su due significati, ma che scivola nella sua forma fonetica da una lingua all’altra con effetto produttore di associazioni significative per la paziente.  

I sogni lasciano affiorare l’intimità e la materialità della lingua, i sogni ci mostrano in modo ancora più diretto il nostro rapporto quotidiano con la parola e ci avvicinano a ciò che Lacan chiama con un neologismo la lalangue, la lalingua.  Un termine che lascia intendere il la-la- della lallazione, del balbettio, i vocalizzi del primo anno di vita, la giubilazione della vibrazione linguale, puro godimento del bebè che precede il linguaggio della comunicazione e del senso.   

Nel passaggio da una lingua all’altra, qualcosa si perde, ma c’è un resto che insiste, che risiede non solo nell’accento, ma anche nel timbro, nella sonorità, in quel tratto inafferrabile che rende ogni voce unica e differente dalle altre. La sonorità delle parole, iscritta nella voce, annoda il familiare di una lingua con l’estraneità dell’altra, toccando il punto perturbante, straniante, che Freud ha elaborato con il termine di Un-heimlich.  

Quando impariamo una lingua straniera, quando affrontiamo il lavoro della traduzione, dobbiamo compiere una traversata, lasciare una sponda conosciuta per raggiungerne un’altra incerta, acconsentire a una separazione, a una perdita, a un tempo di smarrimento, di “straniamento”, prima di approdare all’altra riva e raggiungere quell’effetto di soddisfazione che il traduttore spesso prova nel suo lavoro. 

Il contributo originale della psicoanalisi alla questione del bilinguismo, è che la lingua, anche quella materna, è sempre la lingua dell’Altro, essa ci viene dall’Altro, perché sempre il linguaggio è già là quando nasciamo. Nell’apprendimento di una lingua straniera si raddoppia questo incontro, si produce un ulteriore effetto di separazione, perdita e acconsentimento. Occorre infatti acconsentire a questa separazione e perdita di godimento per raggiungere un effetto di soddisfazione. 

Vorrei terminare con una citazione di Susanna Hommel, psicoanalista franco-tedesca che lavora da tempo sulla questione della traduzione e che esprime così il passaggio da una lingua all’altra: 

“il significante estirpato dalla lalingua della prima lingua rappresenta il soggetto per il significante estirpato dalla lalingua della seconda lingua (…) (ma) occorre che io la lasci cadere questa parola che io guardo come un oggetto, questa parola che mi è così familiare ma allo stesso tempo così straniera, occorre che io la strappi a questa familiarità, che lasci la fascinazione della lalingua, deposito degli equivoci (…) Come separarmi da questa intimità che ho con questa parola? (…)  Una volta la separazione compiuta, essa diventa una festa, una seconda giubilazione ”[1].   

Il sogno, via regia dell’inconscio, gioca con le parole e con i fonemi, con le assonanze e le agglutinazioni, riafferra qualche elemento della lalingua e ci conduce, in ogni neologismo che affiora, in ogni significante che accompagna le immagini oniriche, nel cuore del desiderio, cioè nella radice della vita stessa di ogni sognatore. 


[1] Hommel Susanne, « Lalangue est battue » in HORIZON  n°31.  Mars 2003, Ecole de la cause freudienne. Page 12-16

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